mercoledì 14 gennaio 2009

Aspetti fiscali di un sito web – Google Adsense (1)

PRIMA PARTE

In questo articolo comincerò ad affrontare la questione dei cosiddetti programmi di affiliazione, che permettono ai webmaster di guadagnare ospitando banner pubblicitari, in apposite aree del proprio sito. Nel seguito, farò riferimento prevalentemente a Google Adsense, che è probabilmente uno dei più diffusi tra i programmi di affiliazione. Come ho già ripetuto più volte, quanto pubblicherò vuole essere solo uno spunto di riflessione e in nessun caso può sostituire la consulenza di un commercialista e/o di un legale.

Il funzionamento tecnico è semplice: dopo essersi iscritti al programma ed aver accettato le condizioni, non bisogna fare altro che inserire nel proprio sito alcune righe di codice (si tratta di codice Javascript) nei punti in cui si vuole che Google visualizzi i suoi banner pubblicitari; tali banner saranno visibili a tutti i visitatori del sito e Google si impegna a pagare al webmaster una certa cifra (tipicamente di pochi centesimi di dollaro) per ogni click che i visitatori effettuano sui banner stessi.

I contenuti dei banner, ovvero le aziende in essi pubblicizzate (in gergo gli inserzionisti) vengono scelti, tramite un sistema automatico molto sofisticato, in base ai contenuti del sito, in modo che siano il più possibile ad essi attinenti. E’ importante precisare (al fine di inquadrare correttamente l’attività) che il contenuto di tali banner viene stabilito unicamente da Google e il webmaster che aderisce al programma Adsense (in gergo l’affiliato) non ne ha il controllo, fatta eccezione per la possibilità, nel caso di un sito commerciale, di bloccare gli annunci relativi ad aziende concorrenti; è anche importante dire che la cifra corrisposta per ogni click è pure stabilita unilateralmente da Google e che l’affiliato non intrattiene, in nessun caso, rapporti con gli inserzionisti, ma solo con Google.

Passando ora all’aspetto fiscale, poiché i redditi sono tassati in modo diverso a seconda di come vengono generati, il primo passo consiste nel capire che tipo di attività stia svolgendo il webmaster che utilizza Adsense. Esiste in proposito molta diversità di opinioni, anche tra gli addetti ai lavori, dovuta al fatto che la normativa esistente risale in gran parte a prima della diffusione di Internet e delle attività connesse, quindi è ad esse difficilmente adattabile, ed inoltre chi di dovere (Agenzia delle Entrate, Ministero delle Finanze…) non si è ancora pronunciato ufficialmente.

A prima vista sembrerebbe che il titolare del sito, partecipando al programma Adsense, agisca da impresa pubblicitaria: un’attività del genere richiederebbe l’apertura di una partita IVA come imprenditore e ciò comporterebbe diversi oneri, di cui il maggiore è il versamento minimale di oltre 2000€ all’anno all’INPS (indipendente dal reddito); aggiungendo a questi l’iscrizione al Registro delle Imprese e il costo di un commercialista (anche se non obbligatorio, fortemente consigliato), si arriverebbe facilmente ad una spesa minima di almeno 3000€ all’anno, che si dovrebbe sostenere anche se il reddito fosse nullo. Di fronte ad una situazione del genere, Google Adsense sarebbe appannaggio solo di chi gestisce grossi portali e non sarebbe conveniente per un piccolo webmaster che potrebbe ricavarne qualche decina di dollari al mese.

Da diverso tempo, in vari siti, blog e forum per webmaster si discute sull’argomento e sono state addotte diverse argomentazioni contro tale conclusione; io ho potuto individuarne tre, che vado ad elencare:

  1. Se il reddito che si percepisce è inferiore a 5000€ l’anno, l’attività svolta può essere considerata occasionale e non è necessaria la partita IVA.
  2. Il webmaster non può intervenire direttamente sul contenuto dei banner, non ha voce in capitolo nello stabilire il costo per click e in nessun caso intrattiene rapporti con gli inserzionisti, quindi l’attività di impresa pubblicitaria è svolta da Google e il reddito per l’affiliato sarebbe derivante da assunzione di obbligo di fare, non fare o permettere.
  3. Poiché stiamo fornendo un servizio a Google Inc., che ha sede negli Stati Uniti (quindi fuori dell’Unione Europea), tale attività sarebbe fuori del campo di applicazione dell’IVA.

La prima delle argomentazioni elencate è, ahimè, facilmente smontabile: esaminando, infatti, dall’articolo 61, comma 2, del Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre 2003 (cosiddetta legge Biagi) si evince che, affinché si rientri nelle prestazioni occasionali, non solo il compenso complessivamente percepito nell’anno solare deve essere non superiore a 5000€, ma anche che il rapporto con lo stesso committente deve avere durata non superiore a 30 giorni. Nel caso di Adsense, se è usato per più di 30 giorni in un anno (e in genere lo è), indipendentemente da quanto percepito, non si può parlare di prestazione occasionale.

Le altre due argomentazioni, invece, sembrano lasciare qualche spiraglio in più, quindi meritano un ulteriore approfondimento. Nella seconda parte di questo articolo, che pubblicherò nei prossimi giorni, prenderò in esame la seconda, che, al momento, è l’unica che ho avuto modo di approfondire (e in merito alla quale ho chiesto delucidazioni anche all’Agenzia delle Entrate). Successivamente, appena avrò modo di approfondire il discorso sul campo di applicabilità dell’IVA, dedicherò un post anche alla terza.

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