QUARTA PARTE
In realtà, a un esame più attento, questa non è una soluzione valida: infatti potrei inviarmi una busta non ben chiusa (e senza ceralacca), e in un secondo momento aprirla, sostituirne il contenuto e sigillarla. Il metodo descritto fornisce, in ultima analisi, una prova del possesso della busta ad una data certa, ma non del suo contenuto.
E' interessante notare che, ultimamente, viene messa in discussione la validità legale della raccomandata AR anche nel caso (più ortodosso) in cui mittente e destinatario siano due soggetti distinti: infatti, se il mittente invia un documento in busta chiusa, il destinatario, pur ricevendo il plico (e firmando la ricevuta di ritorno) può sempre affermare di non aver ricevuto il documento e giustificarsi dicendo: "E' vero, ho ricevuto la raccomandata, ma, quando ho aperto la busta, questa era completamente vuota!". La raccomandata AR certifica l'invio e la ricezione (con le relative date) del plico, ma, quanto al suo contenuto, non certifica proprio un bel niente!
Un modo per risolvere questo problema è quello di non imbustare il documento, ma piegarlo, incollarne i bordi e spedirlo. Tale espediente, di far coincidere contenitore e contenuto, è usato spesso nelle comunicazioni tra la Pubblica Amministrazione e i cittadini, ad esempio per le ingiunzioni di pagamento (cartelle esattoriali, multe, ecc...) in modo che il destinatario non possa affermare di non averle ricevute. Quest'ultimo metodo, tuttavia, risolve solo i contenziosi tra mittente e destinatario e quindi non può essere utile per i nostri scopi: infatti, come per la busta chiusa, potrei autospedirmi un foglio bianco piegato e incollato, successivamente aprirlo senza danneggiarlo (cosa non facile, ma nemmeno impossibile), riportare su di esso un'opera, che in tal caso deve essere tanto breve da poter entrare su un unico foglio (come una poesia o un disegno) e quindi richiuderlo.
Escluso, quindi, per le ragioni che abbiamo visto, il metodo dell'autoinvio della raccomandata, va da sé che risultano invalidi anche altri metodi analoghi e più deboli, quali quello di autospedirsi una copia dell'opera tramite posta ordinaria oppure quello di apporre un francobollo su ogni pagina di una copia cartacea e farselo annullare (con timbro e data) presso un ufficio postale.
Un altro metodo (veramente fantasioso), di cui si sente spesso parlare, consiste nell'inviare una copia della nostra creazione, sempre tramite raccomandata AR, al Presidente della Repubblica, il quale si dice che sia obbligato a protocollare e conservare qualunque cosa riceva, anche se non è attinente con il suo incarico. Ho letto di questa cosa su diversi siti e forum, tuttavia, sul fatto che il Presidente sia obbligato a protocollare tutto quello che riceve, non ho trovato da nessuna parte conferme ufficiali (leggi, regolamenti o altro), quindi non sono in grado di pronunciarmi sulla validità della soluzione.
Dopo aver esaminato diverse soluzioni non valide, vediamo finalmente quale può essere una valida: un buon metodo, anche se applicabile solo alle opere in formato digitale (è sicuramente il nostro caso, visto che ci stiamo occupando di quelle che possiamo pubblicare su un sito web) è quello di utilizzare la firma digitale e la marcatura temporale. Chiunque può acquistare, presso un fornitore di servizio accreditato, un kit (costituito da strumenti hardware e software) per poter firmare digitalmente i propri documenti informatici ed apporvi una marca temporale, che ha valore legale, a condizione che l'azienda che fornisce il servizio sia tra quelle accreditate da CNIPA (Centro Nazionale per l'Informatica nella Pubblica Amministrazione).
Pur senza scendere in dettagli tecnici, voglio fornire una descrizione, seppure sommaria e non rigorosa, del meccanismo alla base del servizio, per dare almeno un'idea del suo funzionamento. Quando si appone ad un documento (in pratica un file) una firma digitale con marca temporale, quello che accade è che al documento stesso viene aggiunto un particolare codice alfanumerico (la firma, appunto), che viene generato in funzione del contenuto del documento, del nome dell'autore (il titolare della firma digitale), della data, dell'orario e di una chiave segreta univocamente legata al titolare. Se, dopo aver firmato il documento, vi si apportano delle modifiche, la firma aggiunta originariamente non è più coerente con la nuova versione del file, quindi è facile rendersi conto che il documento è stato alterato dopo la data indicata. Il fatto veramente interessante è che per generare la firma occorre conoscere la chiave segreta, mentre per controllare la coerenza della firma con il contenuto del documento, con il nome dell'autore e con data e ora, ciò non serve. In conclusione, l'apposizione della firma digitale può avvenire, su richiesta del titolare, ad opera del solo fornitore del servizio (l'unico che dispone della chiave), tenuto a rispettare stringenti regole di sicurezza, mentre la verifica della validità della firma può avvenire da parte di chiunque.
Per tornare al discorso sulla prova della paternità di un'opera, se si dispone di firma digitale, è sufficiente, prima di diffondere l'opera al pubblico, firmarne digitalmente una copia e conservarla: a questo punto si ha una prova, di valore legale, che si era in possesso di quell'opera ad una data certa (quella della marca temporale).
Un'alternativa (ugualmente valida) alla firma digitale è la PEC (Posta Elettronica Certificata): si tratta di un servizio email, sempre fornito da aziende accreditate da CNIPA, che grazie ad un meccanismo del tutto simile a quello della firma digitale, permette di inviare messaggi di posta elettronica (eventualmente con allegati) che abbiano lo stesso valore legale di una raccomandata AR e, al tempo stesso, non soffrano dei difetti visti prima per le raccomandate cartacee. Infatti, se inviamo un messaggio tramite la PEC, il server di posta (accreditato) vi appone marca temporale e firma digitale, quest'ultima generata in base al contenuto sia del messaggio che degli allegati; di conseguenza, dopo l'invio, non è possibile alterare il messaggio (né gli allegati) senza invalidare la firma digitale.
Per provare la paternità di un'opera, quindi, è anche possibile autoinviarsela tramite una casella PEC: si tratta di una versione elettronica del metodo visto prima dell'autoinvio tramite raccomandata AR, che tuttavia non soffre dei difetti di quest'ultimo e che, quindi, è una soluzione valida per i nostri scopi.
Una volta ottenuta una prova legalmente valida di essere gli autori dell'opera, possiamo renderla pubblica: la pubblicazione non intacca in alcun modo, come abbiamo più volte ripetuto, i nostri diritti morali, mentre, per quanto riguarda quelli di sfruttamente economico, possiamo decidere di cederli, tutti o in parte, ad altri e nel prossimo articolo vedremo come farlo in pratica, utilizzando le licenze Creative Commons, che permettono di cedere ad altri, in modo non esclusivo, alcuni diritti sulla nostra opera.
A presto