martedì 24 febbraio 2009

Aspetti legali di un sito web - Diritto d'Autore (4)

QUARTA PARTE

Negli articoli precedenti abbiamo visto, a livello molto teorico, che cos'è e cosa tutela il diritto d'autore, mentre ora cominciamo a vedere come, tecnicamente, possiamo farlo valere per le nostre opere.

Abbiamo già detto, nel primo articolo sull'argomento, che un autore acquisisce i diritti sulla propria opera non appena la crea: non è necessaria, come molti credono, l'iscrizione alla SIAE, né alcuna altra formalità, tuttavia, in alcune circostanze, ci si può trovare nella situazione di dover provare di essere effetivamente l'autore di una certa opera. Ad esempio, supponiamo che io scriva un tutorial, lo pubblichi sul mio sito web e lo renda liberamente accessibile a chiunque: poiché ne sono l'autore, detengo su di esso quantomeno i diritti morali; se, a questo punto, un altro pubblicasse questo tutorial sul suo sito, senza citarmi e spacciandolo per una sua creazione, io putrei oppormi, poiché costui avrebbe violato il mio diritto di paternità. Ma se egli affermasse (spudoratamente) di esserne l'autore? Come farei a dimostrare di aver scritto quel tutorial prima di lui? In tal caso avrei bisogno di una prova, che abbia valore legale, del fatto che io fossi in possesso dell'opera prima di ogni altro. Per ottenere questa prova, si possono seguire diverse strade, non tutte valide, ed ora le esamineremo.

Il primo metodo consiste nell'effettuare, prima della pubblicazione, un deposito di inedito presso gli uffici della SIAE (che offre un apposito servizio): questa alternativa è piùttosto costosa, ma, per fortuna, non è l'unica; infatti, proprio perché l'acquisizione dei diritti d'autore non necessita di alcun atto formale, per provare la paternità di un'opera, in caso di contenzioso, è sufficiente qualunque prova, purché abbia valore legale.

Un metodo "casereccio", usato soprattutto in passato, è quello di prendere una copia cartacea dell'opera, chiuderla in un plico, magari sigillato con ceralacca, autospedirselo tramite raccomandata AR e conservarlo chiuso, salvo poi aprirlo in presenza di un magistrato in sede processuale. Poiché la raccomandata AR fornisce una prova di valore legale dell'invio e della ricezione del plico, nonché delle rispettive date, a prima vista questo procedimento proverebbe che l'autore è in possesso dell'opera fin da una data certa (quella della spedizione).

In realtà, a un esame più attento, questa non è una soluzione valida: infatti potrei inviarmi una busta non ben chiusa (e senza ceralacca), e in un secondo momento aprirla, sostituirne il contenuto e sigillarla. Il metodo descritto fornisce, in ultima analisi, una prova del possesso della busta ad una data certa, ma non del suo contenuto.

E' interessante notare che, ultimamente, viene messa in discussione la validità legale della raccomandata AR anche nel caso (più ortodosso) in cui mittente e destinatario siano due soggetti distinti: infatti, se il mittente invia un documento in busta chiusa, il destinatario, pur ricevendo il plico (e firmando la ricevuta di ritorno) può sempre affermare di non aver ricevuto il documento e giustificarsi dicendo: "E' vero, ho ricevuto la raccomandata, ma, quando ho aperto la busta, questa era completamente vuota!". La raccomandata AR certifica l'invio e la ricezione (con le relative date) del plico, ma, quanto al suo contenuto, non certifica proprio un bel niente!

Un modo per risolvere questo problema è quello di non imbustare il documento, ma piegarlo, incollarne i bordi e spedirlo. Tale espediente, di far coincidere contenitore e contenuto, è usato spesso nelle comunicazioni tra la Pubblica Amministrazione e i cittadini, ad esempio per le ingiunzioni di pagamento (cartelle esattoriali, multe, ecc...) in modo che il destinatario non possa affermare di non averle ricevute. Quest'ultimo metodo, tuttavia, risolve solo i contenziosi tra mittente e destinatario e quindi non può essere utile per i nostri scopi: infatti, come per la busta chiusa, potrei autospedirmi un foglio bianco piegato e incollato, successivamente aprirlo senza danneggiarlo (cosa non facile, ma nemmeno impossibile), riportare su di esso un'opera, che in tal caso deve essere tanto breve da poter entrare su un unico foglio (come una poesia o un disegno) e quindi richiuderlo.

Escluso, quindi, per le ragioni che abbiamo visto, il metodo dell'autoinvio della raccomandata, va da sé che risultano invalidi anche altri metodi analoghi e più deboli, quali quello di autospedirsi una copia dell'opera tramite posta ordinaria oppure quello di apporre un francobollo su ogni pagina di una copia cartacea e farselo annullare (con timbro e data) presso un ufficio postale.

Un altro metodo (veramente fantasioso), di cui si sente spesso parlare, consiste nell'inviare una copia della nostra creazione, sempre tramite raccomandata AR, al Presidente della Repubblica, il quale si dice che sia obbligato a protocollare e conservare qualunque cosa riceva, anche se non è attinente con il suo incarico. Ho letto di questa cosa su diversi siti e forum, tuttavia, sul fatto che il Presidente sia obbligato a protocollare tutto quello che riceve, non ho trovato da nessuna parte conferme ufficiali (leggi, regolamenti o altro), quindi non sono in grado di pronunciarmi sulla validità della soluzione.

Dopo aver esaminato diverse soluzioni non valide, vediamo finalmente quale può essere una valida: un buon metodo, anche se applicabile solo alle opere in formato digitale (è sicuramente il nostro caso, visto che ci stiamo occupando di quelle che possiamo pubblicare su un sito web) è quello di utilizzare la firma digitale e la marcatura temporale. Chiunque può acquistare, presso un fornitore di servizio accreditato, un kit (costituito da strumenti hardware e software) per poter firmare digitalmente i propri documenti informatici ed apporvi una marca temporale, che ha valore legale, a condizione che l'azienda che fornisce il servizio sia tra quelle accreditate da CNIPA (Centro Nazionale per l'Informatica nella Pubblica Amministrazione).

Pur senza scendere in dettagli tecnici, voglio fornire una descrizione, seppure sommaria e non rigorosa, del meccanismo alla base del servizio, per dare almeno un'idea del suo funzionamento. Quando si appone ad un documento (in pratica un file) una firma digitale con marca temporale, quello che accade è che al documento stesso viene aggiunto un particolare codice alfanumerico (la firma, appunto), che viene generato in funzione del contenuto del documento, del nome dell'autore (il titolare della firma digitale), della data, dell'orario e di una chiave segreta univocamente legata al titolare. Se, dopo aver firmato il documento, vi si apportano delle modifiche, la firma aggiunta originariamente non è più coerente con la nuova versione del file, quindi è facile rendersi conto che il documento è stato alterato dopo la data indicata. Il fatto veramente interessante è che per generare la firma occorre conoscere la chiave segreta, mentre per controllare la coerenza della firma con il contenuto del documento, con il nome dell'autore e con data e ora, ciò non serve. In conclusione, l'apposizione della firma digitale può avvenire, su richiesta del titolare, ad opera del solo fornitore del servizio (l'unico che dispone della chiave), tenuto a rispettare stringenti regole di sicurezza, mentre la verifica della validità della firma può avvenire da parte di chiunque.

Per tornare al discorso sulla prova della paternità di un'opera, se si dispone di firma digitale, è sufficiente, prima di diffondere l'opera al pubblico, firmarne digitalmente una copia e conservarla: a questo punto si ha una prova, di valore legale, che si era in possesso di quell'opera ad una data certa (quella della marca temporale).


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Un'alternativa (ugualmente valida) alla firma digitale è la PEC (Posta Elettronica Certificata): si tratta di un servizio email, sempre fornito da aziende accreditate da CNIPA, che grazie ad un meccanismo del tutto simile a quello della firma digitale, permette di inviare messaggi di posta elettronica (eventualmente con allegati) che abbiano lo stesso valore legale di una raccomandata AR e, al tempo stesso, non soffrano dei difetti visti prima per le raccomandate cartacee. Infatti, se inviamo un messaggio tramite la PEC, il server di posta (accreditato) vi appone marca temporale e firma digitale, quest'ultima generata in base al contenuto sia del messaggio che degli allegati; di conseguenza, dopo l'invio, non è possibile alterare il messaggio (né gli allegati) senza invalidare la firma digitale.

Per provare la paternità di un'opera, quindi, è anche possibile autoinviarsela tramite una casella PEC: si tratta di una versione elettronica del metodo visto prima dell'autoinvio tramite raccomandata AR, che tuttavia non soffre dei difetti di quest'ultimo e che, quindi, è una soluzione valida per i nostri scopi.

Una volta ottenuta una prova legalmente valida di essere gli autori dell'opera, possiamo renderla pubblica: la pubblicazione non intacca in alcun modo, come abbiamo più volte ripetuto, i nostri diritti morali, mentre, per quanto riguarda quelli di sfruttamente economico, possiamo decidere di cederli, tutti o in parte, ad altri e nel prossimo articolo vedremo come farlo in pratica, utilizzando le licenze Creative Commons, che permettono di cedere ad altri, in modo non esclusivo, alcuni diritti sulla nostra opera.

A presto

4 commenti:

  1. Il tuo intervento è probabilmente quello più dettagliato e comprensivo che ho trovato sul web, rispetto ad altri articoli che sommariamente elencavano i "metodi disponibili" senza però analizzarne i difetti intrinseci.
    In una situazione di contenzioso i difetti della timbratura postale per autocertificazione che hai analizzato sono effettivamente contestabili, tuttavia esistono metodi sempre "caserecci" per rafforzare l'autenticità dell'opera, ad esempio quello di fascicolare gli N fogli stampati, piegarne un angolo all'interno sulla parte frontale in modo da coinvolgere in parte i paragrafi scritti/disegnati, pinzare detta piega al centro, scrivere "autoprestazioni" a cavallo della piega (e quindi anche di tutti i fogli che risulteranno in parte esposti dalla piega), apporre il franconbollo sulla pinzatura e bordo piega, e timbrare in modo che il timbro stesso copra francobollo, gli spicchi dei fogli esposti nella piega, e la pagina frontale del manoscritto sulla parte scritta. Contestare l'autenticità di una siffatta costruzione sarebbe in questo modo praticamente impossibile.
    Per ciò che riguarda le opere digitali, forse partendo da un presupposto meno solido, autospedirsi uno ZIP (o volume crittato che sia) contenente l'opera come allegato in un messaggio di email tramite servizi esterni come gmail servirebbe a certificare la data della spedizione tramite un servizio esterno a cui non si è affiliati, ovvero gmail (o yahoo o tiscali o qualunque altro, megio se tutti assieme).

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  2. Grazie mille della visita e dell'intervento.

    Per quanto riguarda la prima parte del commento, in tal modo, se ho ben capito, il timbro sarebbe apposto sulla facciata scritta solo del primo foglio, mentre sugli altri solo sul retro. In tal modo si avrebbe una prova solo per una parte del manoscritto.

    Per quanto riguarda l'email, nel post mi riferivo alla Posta elettronica certificata, non a quella tradizionale (Yahoo, Gmail ecc...)
    Nella PEC, oltre alla certezza della data e del mittente, si ha anche la certificazione che il contenuto del messaggio e degli allegati non è stato alterato dopo l'invio, il tutto tramite un sistema basato sulle firme digitali.

    Considerando che ormai una casella PEC si può avere a pochi euro all'anno, penso sia la soluzione più comoda, anche se ciò con esclude che se ne possano trovare di altrettanto valide.

    A presto

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  3. Lancio un'idea di "arricchimento" rispetto al metodo (utilissimo) consigliato da Mauro: e se al posto dei francobolli, si utilizzasse una marca da bollo (anche quella classica da 14,62 euro) da apporre sul bordo della piegatura?
    Le marche da bollo sono rigorosamente numerate e riportano data ed ora di emissione, non sarebbe un interessante sistema per provare la data certa? ^_^

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  4. Buongiorno Dario,
    grazie della visita e del commento.

    Per quanto riguarda il tuo suggerimento, sinceramente temo che non possa funzionare: è vero che le marche da bollo hanno data e ora di emissione, ma è anche vero che posso acquistarla e usarla in un secondo momento.

    Ti faccio un esempio: io oggi posso acquistare una marca da bollo, che supponiamo emessa al momento dell'acquisto, quindi con data 20/11/2010, aspettare il prossimo festival di Sanremo (febbraio-marzo 2011), copiare su un foglio il testo di una delle canzoni presentate in gara e poi... apporvi la marca da bollo acquistata oggi!

    Continuo a ritenere che il metodo migliore sia la firma digitale o la PEC.

    A presto.

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