giovedì 22 gennaio 2009

Aspetti fiscali di un sito web – Google Adsense (2)

SECONDA PARTE

In questo articolo cercheremo di esaminare più da vicino la possibilità di inquadrare i proventi di Google Adsense come derivanti da assunzione di obbligo di fare, non fare o permettere.

E’ possibile considerare attività di impresa quella di un webmaster che partecipa al programma Adsense? Per rispondere alla domanda, vediamo innanzitutto che cosa significa essere imprenditori.

L’art. 2082 del Codice Civile ne fornisce la seguente definizione: “E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”. Le parole chiave sono due: organizzazione e professionalità. Alcuni ritengono che gestire un sito o un blog sia un’attività organizzata, dal momento che si deve avere una connessione a Internet, un computer, il software necessario e un contratto con un provider per avere lo spazio web, nonché professionale, visto che la creazione e l’aggiornamento del sito richiedono un lavoro qualificato e delle conoscenze tecniche specifiche. In realtà, limitandoci a considerare piccoli siti amatoriali, tutto ciò non è necessario: se (come spesso accade) aggiorno il mio sito non troppo spesso, posso tranquillamente fare a meno sia del computer che della linea telefonica, in quanto mi basta andare in un Internet Point, e, quanto all’acquisto di un dominio (con incluso lo spazio web), posso evitare anche quello, visto che molti provider lo forniscono gratuitamente; quanto alla professionalità, anche questa, secondo me, è in discussione, dal momento che oggi è possibile utilizzare un CMS (Content Management System), che permette di creare in pochi minuti un sito o un blog, anche molto complessi, senza scrivere neppure una riga di codice.

Aggiungendo a tutto ciò il fatto che, come anticipato nell’ultimo post, il webmaster che partecipa al programma (l’affiliato) non intrattiene rapporti con gli inserzionisti e inoltre non contratta con Google il costo per ogni click, ci si allontana ulteriormente dal concetto di impresa. In sostanza, quello che facciamo non è altro che mettere a disposizione di Google alcuni spazi del nostro sito web, di cui poi Google fa ciò che vuole: è Google a comportarsi da impresa pubblicitaria, non noi.

Questi ragionamenti, tuttavia, sono soltanto di carattere qualitativo: non esiste un confine preciso che permetta di distinguere un sito web professionale da uno amatoriale e quindi occorre effettuare una valutazione caso per caso.

Per un approfondimento su questo tipo di inquadramento di Adsense, vi invito a leggere questo articolo, nel quale la dottoressa Elena Trombetta fornisce ulteriori informazioni, anche sugli aspetti pratici legati alla dichiarazione di eventuali proventi.

Io, da parte mia, ho chiesto spiegazioni all’Agenzia delle Entrate tramite email; riporto di seguito il testo della richiesta:

Spett.le Agenzia delle Entrate,
il sottoscritto, proprietario di un sito web, AGGIORNATO SENZA REGOLARE PERIODICITA', intende aderire al programma Adsense di Google Inc., che prevede la possibilità di cedere a Google aree delle proprie pagine web, nelle quali Google stessa inserisce banner pubblicitari, sul cui contenuto il sottoscritto non ha la possibilità di intervenire.  Al sottoscritto viene riconosciuto un compenso variabile, dell’ordine di pochi centesimi di €, STABILITO UNILATERALMENTE DA GOOGLE, per ogni click effettuato sui banner dai visitatori del sito. Il sottoscritto chiede se sia corretto considerare eventuali proventi come derivanti da obbligo di fare, non fare o permettere, da dichiarare come Redditi diversi  (e non da attività imprenditoriale o commerciale).
Distinti saluti.

Ed ecco la loro risposta:

Gentile Sig. Paolo Caramanica,
in esito a quanto richiesto La informiamo che l'art. 67 del DPR 917/1986 stabilisce la classificazione attribuibile ai redditi diversi precisando che essi sono tali solo quando non sono derivanti da capitali  "ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente. Ciò premesso, il comma 1, lettera l, del medesimo articolo comprende i proventi derivanti da obblighi di fare, non fare o permettere tra i quali è classificabile il compenso che Lei percepirà da Google per la disponibilità di spazio sul sito web, di cui è proprietario, sulla base del numero di contatti attivati cliccando sui banner pubblicati dalla Google medesima. Si rammenta, comunque, che per tali compensi va operata da parte del sostituto d'imposta (Google) la ritenuta d'acconto del 20% ex art. 25 del DRP 600/1973.
Per la consultazione della normativa citata Le forniamo il seguente indirizzo internet:
http://www.agenziaentrate.it/ilwwcm/connect/Nsi/Documentazione/Documentazione+tributaria/
Cordiali saluti.

Sembrerebbe, quindi, che anche l’Agenzia delle Entrate sia d’accordo con questa interpretazione. Tuttavia è importante precisare che tutto ciò non rappresenta una soluzione definitiva al problema, come si evince da una nota dell’Agenzia in calce all’email:

La presente risposta non è resa a titolo di interpello ordinario ai sensi dell'art.11 della legge n.212 del 2000, bensì a titolo di assistenza al contribuente ai sensi della Circolare Ministeriale n.99/E del 18/05/2000.

In sostanza, ciò significa che tale risposta non è in alcun modo vincolante per l’Agenzia; l’unico strumento per ottenere una risposta ufficiale e vincolante è l’istanza di interpello.

Infine, tale risposta pone l’ulteriore problema della ritenuta d’acconto, che Google dovrebbe detrarre dai nostri proventi e versare al fisco italiano: essendo Google Inc. un soggetto extra UE, cosa che purtroppo ho omesso di precisare nel testo della richiesta, ad un primo esame del DPR n. 600 del 1973 sembra che non possa  agire da sostituto di imposta. In ogni caso ho inviato una seconda richiesta all’Agenzia su questo punto e sono in attesa della risposta.

Vi terrò aggiornati.

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